Domenica 18 marzo 1928, ore 16:00. Al Castello di Rovereto si presenta Gabriele D’Annunzio con l’architetto Giancarlo Maroni e un manipolo di qualche altro fervente seguace. Scarta chi lo voleva condurre alla visita del Museo della Guerra per dirigersi direttamente alla Campana dei Caduti, Desideroso di sentirla suonare. Intima di essere esaudito al custode del monumento che oppone le ragioni dello Statuto del monumento che prescrive con precisione le uniche occasioni in cui può essere suonata, mai per capriccio di chichessia. Il clima si accende. Maroni mette mano alla pistola. Il cutode si vede costretto a capitolare e per qualche minuto fa suonare la Campana. Antonio Rossaro sentendo suonare la Campana accorre immediatamente al Castello e, approssimandovisi, incrocia il drappello che se ne va soddisfatto. Informato dei fatti va su tutte le furie e non perde tempo a scrivere lettere di protesta a varie autorità. Non manca di inviare una veemente lamentazione anche a Roma, al Duce: una lettera di cui non c’è traccia all’archivio Centrale dello Stato di Roma, ma che conosciamo ugualmente per la copia che Rossaro trasmette al Vescono Celestino Endrici conservata all’archivio del Seminario diocesano di Trento (1-2). Le sue proteste rimarranno vane.
Qualche anno dopo, nel maggio del 1935, D’Annunzio mandò un biglietto indirizzato al custode, appellandolo “buon campanaro di Rovereto”, con un’offerta di danaro per la Campana dei Caduti “in memoria di un’ora sonora e alta”. Rossaro non mancherà di accludere nei suoi album fotografici con la cronaca della vita dalla Campana una riproduzione fotografica di questo messaggio a testimonianza che l’episodio del ’28 era ormai superato (3). La stima di Rossaro per il Vate era del resto di antica data, come dimostra il breve scritto in versi che aveva conservato tra le carte della Bblioteca Civica, su una carta intesta alla Legione Volontari Fiumani del Natale 1920 (4).